“Viaggiare
è un po’ come essere innamorati, perché improvvisamente su
tutti i sensi c’è scritto ‘acceso’. Quando viaggio,
soprattutto nelle grandi città, la tipica persona che incontro
è una ragazza che vive a Parigi e ha il padre coreano e la
madre tedesca. Appena questa ragazza incontra un ragazzo
che viene da Edimburgo, e ha il padre tailandese e la madre
canadese, lo riconosce come suo simile. E si rende conto
che probabilmente ha più cose in comune con lui che con
chiunque altro in Corea o in Germania. Così diventano amici.
E poi si innamorano. Si trasferiscono a New York. O a
Edimburgo. E la bambina che nasce dalla loro unione non
sarà né coreana né tedesca o francese o tailandese o scozzese
o canadese e neanche americana, ma sarà una meravigliosa
combinazione, in continua evoluzione, di tutti questi posti. Il
modo in cui questa ragazza sognerà il mondo, scriverà sul
mondo e penserà al mondo sarà diverso, perché nascerà da
una mescolanza senza precedenti di culture. Oggi, da dove
vieni è meno importante di dove vai. Ma è solo fermando
il movimento che puoi capire dove andare. Ed è solo
facendo un passo indietro, dalla tua vita e dal tuo mondo, che
puoi vedere quello a cui tieni di più, e quindi trovare casa.
Il movimento è un privilegio fantastico. Ci consente di fare
cose che i nostri nonni non potevano neanche sognare di
fare. Ma il movimento ha senso solo se c’è una casa a cui
tornare. E la casa, in fin dei conti, non è solo il posto
in cui dormi. È il posto in cui stai”
Pico
Iyer
A
chi sta per partire, a chi è in viaggio, a chi sempre lo sarà. Una
valigia (o forse due), non chiedo altro.
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